Sono agitata, è sempre la solita storia, ogni volta sento le farfalle nello stomaco, quando lo vedo il mio cuore manca un battito. E poi, inevitabile, arriva il blackout...
Non posso farci nulla, lo so, ogni benedetta volta mi ripeto che questa storia deve finire, che sono una donna adulta, che lui è solo un uomo come tutti gli altri, che non devo vederlo diverso da quello che è. Continuo a ripeterlo ma il film che viene proiettato nella mia testa è del tutto differente.
Chiamo l’ascensore, sono agitata, ogni cellula del mio corpo vibra al suo richiamo, sto per rivederlo.
Sono consapevole che una lieve patina di sudore stia velando la mia fronte.
Mi umetto le labbra, assaggio il dolce sapore di ciliegia del lucidalabbra rosso che ho messo per ammorbidire le labbra per l’occasione. Guardo le mia immagine riflessa nello specchio opaco e polveroso dell’abitacolo, controllo il trucco che so già, quando uscirò, sarà sbavato, non avrò avuto il coraggio di risistemarmi dopo il nostro incontro e come tutte le altre volte fuggirò più in fretta possibile da quell’appartamento, teatro della mia ennesima disfatta.
Comincio a tremare, l’ascensore sta per arrivare al piano, si ferma e di colpo è tutto buio...
Ahi-a! Che botta! Non si vede un'acca, ho sbattuto il ginocchio contro... contro... una poltrona da dentista?
Che ci fa in un ascensore una poltrona da dentista?
Sento dei gemiti sommessi, odore di sudore, essenza di muschio, penetrante e invadente...
No, è disinfettante.
E' tutto buio.
Intorno a me non odo parole che dici umane, ma odo parole più nuove che parlano gocciole e foglie...
No, gocciole... Gocce in faccia. Qualcuno parla...
“Svegliati! VeloNero svegliati!... Se non si sveglia, questa volta chiamiamo un’ambulanza”.
“Guarda, sta rinvenendo, ha avuto uno shock”.
“È un caso disperato”.
“Ma doveva solo fare la pulizia dei denti”.
“Appunto, è un caso disperato”.
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